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Ricordati che devi morire!

by Raffaele Rivieccio
16 Marzo 2021
in Archivio, In sala
258 5
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E’ inutile rimuovere una verità incontestabile: ovvero la nostra ventura Morte, tra venti, quaranta o cento anni. Ricordatevi, troisianamente, che quello è il futuro certo che vi attende, l’unico sicuro tra i tanti incerti del mestiere di vivere. Ed è inutile sperare di morire di malattie esotiche, di morbi equatoriali, di rarissime sindromi incurabili o anche dell’oramai démodé Aids. Quello che vi porterà via da questa valle di lacrime, quello che vi stroncherà di colpo o in seguito ad un doloroso calvario sarà – molto più probabilmente – un infarto, un ictus o un tumore, meglio se ai polmoni perché è meno curabile e perché sia di lezione ai fumatori. Punirne uno per educarne cento.
Ed è proprio un tumore ai polmoni, con il suo delizioso seguito e corollario di chemioterapie e di disperati interventi terminali a insidiare la vitalità della protagonista del cupo film di Giannoli. Il veloce disfacimento delle sue carni, il dimagrimento che ne mina la pregressa bellezza, la perdita dei capelli – topico orpello della femminilità – il malessere fisico e quello psicologico-paranoide rendono Charlotte una dead women walking che misura l’avvicinarsi del Thanatos attraverso il febbricitante termometro dell’Eros, dell’attrazione sessuale del fidanzato Paul, sempre meno vigorosa, sempre più fiaccata dal fetore di putrescenza, dall’olezzo cimiteriale che emana la trapassanda compagna. Nel declinante rapporto si inserisce la cugina di Charlotte, Ninon, florida e tettuta che ben presto diviene l’amante di Paul, una Venere renoiriana che reca nei grandi seni, cornucopie di latte, l’abbondanza, il segno ottimista per una vita che deve ancore nascere, antitesi perfetta e cinica della vita di Charlotte che si sta esaurendo. Ed è proprio a quest’ultima esplosione di vita, di Libido, a cui Charlotte si attacca, quasi inconsciamente spingendo il ragazzo e la cugina al coito. Quasi volendo lasciare Paul in eredità a Ninon, quasi a voler difendere la prosecuzione della razza umana comunque, anche nel grembo accogliente della cugina, visto che il suo è stato capace purtroppo solo di farsi ingravidare dalla Morte, dall’orrido feto tumorale. Le violentissime crisi di gelosia – ultimo sussulto vitale della protagonista – non le impediscono di voler vivere una notte di sesso a tre con Ninon e Paul per tentare di suggere una volta ancora il senso della calda vita da quei corpi così belli ed appassionati, per tentare parassitariamente di rubargli i fluidi seminali e, introducendoli nel proprio secco utero, ridarsi frankesteinianamente Vita. Oppure, invidiandogli la Vita, tentare in quella notte di morboso e pietoso amplesso, di inoculargli la Morte.

Il film si chiude con l’agonizzante Charlotte che, dopo l’intervento ai polmoni, viene assistita da Paul e Ninon che, nonostante violenti scontri per la sua gelosia, vogliono comunque restare umanamente vicini ad un essere che sta morendo. Corpi impazienti è un buon film, girato da Giannoli in modo secco ed antiretorico e che riesce ad essere credibile pur affrontando temi melodrammatici e morbosi che potrebbero portare ad indulgere al facile effetto o cadere, involontariamente, nel ridicolo. Uno stile vagamente alla Lars Von Trier che non eccede nel “dogmatismo” e quindi resta una buona chiave di lettura formale, anche se non originalissima, per una storia così scabrosa. Ottimi gli interpreti principali di questo kammerspiel d’ospedale. Credibile anche l’andamento della vicenda, un En Attendant Thanatos che lentamente fa implodere tre personalità in un unico corpus che fa massa su se stesso, per resistere più a lungo alle lusinghe della Nera Signora. Tre mortali che si abbracciano atterriti di fronte ad una falce innanzi alla quale nessun senso hanno più i loro “corpi impazienti”, l’ottusa vacuità dei loro bacini che si muovono impazziti inseguendo una vita che sempre sfugge e che, nella povera Charlotte, sfuggirà per sempre.
Un film che, un po’ come i manifestini funebri sui pacchetti di sigarette, ci ricorda della nostra caducità. Tutti dobbiamo morire. E, comunque, lettori de Il Cinemante, andate avanti voi!

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