Nel 2018 lo scandalo Skripal e l’uscita della serie McMafia (anche questa ora su Prime) sono stati uno straordinario caso di kismet mediatico, si somigliano nel sembrare operazioni che tendono a sensazionalizzare un sentimento comune tra gli occidentali, e cioè che la Russia è solo in apparenza un paese europeo, che i russi sono indecifrabili e potenzialmente inquietanti come i popoli più lontani ed esotici che si possono immaginare.
E’ soprattutto anglo-americano l’antagonismo nei confronti di questo paese dalle dimensioni simili a quelle di una galassia nell’immaginario collettivo e dalla commistione sconcertante di culture, religioni e costumi.
McMafia, pubblicizzata con la stessa invincibile invadenza di un nuovo panino di McDonald’s, è la serializzazione del saggio omonimo, particolarmente accurato, del giornalista esperto di politica russa: un incrocio tra il David Simon di The Wire e il Roberto Saviano di Gomorra. Il fine della serie McMafia è insomma di dimostrare i legami indissolubili tra politica e malavita (con gli inevitabili corollari delle implicazioni economiche del caso).
McMafia si innesta temporalmente nel bel mezzo della seria The Americans, creata dall’ex agente della CIA Joe Weisberg. Al di là di un’ottica radicalmente diversa sull’affaire russe offerta dalle due serie, entrambe cercano di indagare l’anima russa attraverso intrecci e scandagli psicologici particolarmente sofisticati.
Quella britannica è molto, appunto, britannica – scritta da James Watkins e Hossein Amini (il nome non vi tragga in inganno: è un iraniano cresciuto dall’età di undici anni nel sistema scolastico e sociale inglese), ritrae il mondo non poi così sommerso del traffico di droga, armi e sesso come fosse una realtà parallela a quella in cui viviamo noi comuni mortali. I pericoli maggiori per questi malavitosi non sono le forze dell’ordine, ma le bande rivali; il fine dei loro traffici non è semplicemente economico, è un modo di stabilire un equilibrio di potere tra persone che rappresentano gli interessi di diverse nazioni o gruppi politici al potere.
The Americans è invece una serie americana ed è costruita “alla russa”, o insomma come fosse stata scritta da Dostoevskij. Il centro della narrazione è costituito dal rapporto che i protagonisti (russi) hanno con le forze dell’ordine (o di controllo istituzionale), sia che questi si trovino negli Stati Uniti che in Russia. La vicinanza tra la spia e l’agente dell’FBI è talmente ravvicinata che vivono uno di fronte all’altro, e sono amici per la pelle. D’altro canto, invece, è una vicinanza di sangue quella tra l’ex diplomatico russo in odore di tradimento e le istituzioni di controllo patrie: suo padre è infatti un ministro. Negli Americans i due mondi non viaggiano su binari paralleli ma esistono proprio perché agiscono l’uno nell’operato dell’altro. La coppia di spie trapiantata giovanissima in America, e che si è fatta una vita disperatamente normale (hanno un’agenzia di viaggi, due figli, vivono in una villetta da piccoli borghesi) passa in realtà la maggior parte del tempo a tentare di prevenire aggressioni americane (la creazione di armi chimiche, biologiche, la diffusione di documenti segretati) forti del famoso adagio americano che consiglia di “nascondersi sotto gli occhi di tutti”. Di qui l’importanza di essere tanto vicini all’agente dell’FBI che, tra parentesi, conduce le indagini alla ricerca proprio di una coppia di infiltrati. Ancora più incestuoso è il rapporto dell’attaché all’ambasciata americana che torna in Russia quando viene sospettato di aver passato informazioni all’FBI. La sua forza, ma anche la sua debolezza, sta nell’essere figlio di un ex-ministro. Se, infatti, questo gli permette di avere un trattamento meno brutale rispetto a quello riservato ai sospettati come lui, d’altra parte, una diffusa paranoia nei confronti della corruzione fa sì che chi conduce le indagini faccia di tutto per non dare l’impressione di favorirlo.
Paradossalmente, in altre parole, se a guardare McMafia si ha l’impressione di leggere Grisham, le puntate di The Americans sembrano ispirate a un’idea di rapporto tra il criminale e l’investigatore molto simile a quello del Dostoevskij di Delitto e Castigo.
E’ curioso rendersi conto che, sebbene la Russia sia stata responsabile di tanta parte della coscienza e della vita europea come la conosciamo oggi, attraverso la sua produzione musicale, letteraria, artistica e l’onnipresente vodka, l’immaginario collettivo occidentale continua a percepirlo un popolo estraneo, più vicino ai misteriosi (per noi) asiatici, a quel certo modo che abbiamo di guardare ai mediorientali come se non fossimo mai veramente in grado di capire quello che pensano, quello che vogliono, quello che sono.