Si è svolta, a Roma, dal 12 al 23 settembre, presso i cinema Quattro Fontane e Nuovo Olimpia, la rassegna HungaroCinema.
Realizzato da Cinecittà Holding, in collaborazione con Magyar Filmuniò, e con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Festival ha offerto una panoramica davvero completa della produzione cinematografica ungherese, dall’età d’oro degli anni ’60 e ’70, alle più importanti realizzazioni degli anni ’90, fino a quattro film co-prodotti da Italia e Ungheria.
L’iniziativa, organizzata nell’ambito dell’anno culturale ungherese, ha avuto inizio con la proiezione, in anteprima, di L’uomo ponte (2002) di Géza Bereményi, monumentale film storico sulla vita del conte Istvan Széchenyi.
Successivamente, sono state proposte interessanti opere degli anni ’90, espressioni dei nuovi orientamenti culturali, in conseguenza del mutato contesto socio-politico:
si sono, così, visti film di Szomjas, Szabò, Sopsits, Szasz, Tarr, Torok, Fekete.
E’ stata, poi, la volta degli omaggi dedicati a due grandi Maestri: Istvan Gaal e Miklos Jancsò.
Del primo, si sono potuti apprezzare i seguenti film: Corrente (1963), I falchi (1970), Paesaggio morto (1971) e Orfeo ed Euridice (1985).
Al secondo, sono state riservate ben tre giornate, grazie alle quali è stato possibile cogliere il senso e l’evoluzione del lavoro di uno dei rinnovatori del linguaggio cinematografico a livello internazionale.
Da un’opera rigorosa e scabra come I disperati di Sandor (1965), si è passati, per esempio, ad una pellicola che, a suo tempo, venne condannata per oscenità: Vizi privati Pubbliche virtù (1976).
La vera scoperta dell’omaggio a Jancsò è stata, però, costituita da A Pest il Signore mi ha messo una lanterna nelle mani (1998), un film assolutamente folle, ottima rappresentazione del non senso della vita, con una coppia di attori perfetti nell’incarnare i personaggi di Kapa e Pepe, di volta in volta, becchini, mascalzoni, banchieri, avvocati, neo-ricchi, imprenditori falliti.
A conclusione dell’impegnativa rassegna, è stato possibile vedere, o ri-vedere, alcune coproduzioni italo-ungheresi, tra le quali ci piace ricordare, di Roberto Faenza, Jona che visse nella balena (1993), sguardo sgomento di un’infanzia inconsapevole sull’Olocausto e sulla terribile realtà dei campi di concentramento.
Insomma, HungaroCinema ha assolto egregiamente una duplice funzione: quella di stimolare nuove produzioni ma, anche e soprattutto, è stato la rappresentazione di una cinematografia che, come è stato scritto, “continua ad essere la testimonianza di un fermento non soltanto artistico, ma anche ideologico, politico, storico e morale”.