Che bel mestiere, quello del restauratore. Che sia di dipinti o di pellicole non importa, mi fa pensare a degli artigiani che, grazie a un lavoro certosino e a un grande amore per l’oggetto da “ripulire”, permettono a opere rovinate dall’usura del tempo di rinascere a nuova vita. Adesso con il computer e il digitale (per quanto riguarda i film) non si lavora più (quanto meno non soltanto) con acidi e solventi, ma quell’aura di romanticismo nonostante tutto rimane. È come se si volesse tornare indietro nel tempo, anche se gli strumenti utilizzati sono al massimo della tecnologia. E poi il restauro rende concreto un altro grande sogno: poter vedere, e rivedere, nel buio della sala cinematografica, grandi capolavori del passato, altrimenti destinati alla tristezza del vhs. Peccato, però, che non sia sempre così. L’anno scorso, ad esempio, è stato restaurato un film che amo molto, il bellissimo, malinconico, struggente “Una giornata particolare”, di Ettore Scola, annunciato da una presentazione ufficiale con tanto di vip e personalità. Ma per i comuni mortali, niente. Perché non permettere, a chi le ama davvero, di vedere queste pellicole al massimo del loro splendore, nella collocazione (al cinema) alla quale erano effettivamente destinate?
Mi scuserete per questo piccolo sfogo e passiamo a una bella notizia. Quest’anno i restauratori hanno “rimesso a nuovo” un altro grandissimo capolavoro della storia del nostro cinema, realizzato negli anni (così lontani) in cui i soldi erano pochi e le idee tante e geniali: “Il Vangelo secondo Matteo”, l’opera in cui il cattolico di sinistra Pasolini illuminava tutti sulla sua idea di santità e misticismo. Un film che per la sua straordinaria portata non solo strettamente cinematografica ma anche e soprattutto culturale, suscita una sorta di timore reverenziale (del tipo “come osi, infima e minuscola donnicola, parlare di…”) che mi impedisce quasi di scriverne. Eppure non si può non ricordare la prima immagine della giovane Maria, mai così vera e per questo mai più così bella, la straordinaria voce di Gesù di Enrico Maria Salerno, i volti scavati degli apostoli, la poesia della sofferenza sulla croce. Che meraviglia, che nostalgia. Perché la straordinaria bellezza di questo film non è merito soltanto del genio riconosciuto e mai troppo compianto di Pasolini, ma anche del periodo storico in cui è stato prodotto, ricco di persone con la voglia di rischiare nel nome dell’arte. Colui che ha rischiato per “Il Vangelo secondo Matteo” è il grande Alfredo Bini, che ha animato la conferenza stampa di presentazione del film. Un vero e proprio fiume in piena, pieno di racconti e aneddoti sulla lavorazione del film e sulla sua amicizia con Pier Paolo. Racconta di quando per far camminare Gesù sulle acque, invece di usare sofisticati effetti, ha messo una tavola di legno a pelo dell’acqua, e di come quasi tutti gli attori fossero scelti tra figlie di segretarie (Salomè) e camionisti (Giuda). Doveva essere bello fare il cinema allora, quando con 80 milioni si creava vera arte.
“Adesso ci sono le fiction”, dice Bini alla conferenza stampa davanti a un poco divertito Fedele Gonfalonieri. È Mediaset, infatti, che ha finanziato il restauro, nell’ambito del progetto Cinema Forever, insieme al Centro Sperimentale di Cinematografia. Si tratta del 21° film italiano a subire il “lifting” grazie allo sforzo economico di Mediaset (altri titoli sono “Francesco giullare di Dio” di Rossellini, “La dolce vita” e “8 e mezzo” di Fellini, “L’avventura” di Antonioni), e verrà sì distribuito nelle sale, ma solo in tre città (Roma, Bologna, Milano) e solo per la settimana di Pasqua. Già, perché quest’anno la Santa Pasqua è un appuntamento cinematografico importante. Lo sanno anche le pietre, c’è “The Passion” di Mel Gibson! Ovvero, le ultime dodici ore di vita di Cristo nella visione dell’ultra-cattolico integralista Mel “Arma letale” Gibson. Che strana coincidenza, che escano insieme. E senza voler in alcun modo paragonare le due opere, potrà certamente essere interessante confrontare le due versioni, quella americana e moderna, spettacolarmente violenta, e quella poetica e riflessiva di un maestro come Pier Paolo.
Non disdegnando per nulla (e a volte preferendola) la spettacolarità del miglior cinema americano, e non avendo ancora visto “The Passion”, io resto comunque, senza rancore, dalla parte di Pasolini.