Andare o non andare a vedere Amore senza confini? Questo è il problema. Vale davvero la pena andare a vedere Angelina Jolie che fa la missionaria? Sì, lo so che sembra una barzelletta: ma come, la Jolie-cartone animato, con le labbrone e le tettone, in mezzo ad affamati e mutilati? Ebbene sì, ha osato. E la sua credibilità rasenta davvero lo zero, il meno due. Non ci riesce proprio a fare la sofferta e la compassionevole; magari nella vita sì, ma sullo schermo proprio no, considerando che ha sempre la stessa espressione e lo stesso sguardo, sia verso il “medico senza frontiere” di cui si innamora, sia per il bambino tutto ossa che salva in Africa.
Il film è costruito molto su di lei, sulla sua presenza e sulla pubblicità che può offrire, il che non sarebbe una cosa così brutta, se lo scopo del film fosse davvero quello di sensibilizzare il mondo intero sulla questione della fame nel mondo e sullo straordinario lavoro che i medici e le associazioni umanitarie fanno per questo. Dei santi, davvero. Che rischiano la vita combattendo spesso non solo con le difficoltà oggettive che trovano nei luoghi dove operano, ma anche, e soprattutto, con l’ottusità dei governi, sia quelli dei cosiddetti “paesi in via di sviluppo” che quelli occidentali. E che forse avrebbero meritato un servizio migliore di quello che fa loro questo brutto film di Martin Campbell, regista che ha tra le sue referenze (!) niente meno che Vertical Limit e La maschera di Zorro. Perché la storia è insignificante, banale e assolutamente finta. I personaggi tagliati con l’accetta e la regia troppo interessata alla storia d’amore e ai primi piani dei bellissimi protagonisti.
Campbell parte abbastanza maluccio, con il solito flashback narrativo sulla ingenua e viziata americana che entra con il matrimonio nella ricca famiglia Bauford (una citazione o solo un caso? Era la nobile casata de L’età dell’innocenza). Dopo questo inizio all’acqua di rose (e dopo il fatale incontro tra i due protagonisti), l’ambientazione si sposta in Africa, dove il regista sembra riprendersi, con una scena che commuove per la sua estrema durezza: quella in cui Sarah-Angelina salva il bambino, ormai un mucchietto d’ossa, stremato dal caldo e dalla fame. Quando la telecamera lo scopre, e lo fa apparire come un mostro, un sussulto di indignazione non può non colpire lo spettatore. È solo un attimo, però. Perché subito dopo la regia torna a interessarsi ad altro. E iniziano le schermaglie amorose tra la Jolie (di cui abbiamo già detto) e Clive Owen, che non riesce proprio a evitare lo stereotipo del duro dal cuore d’oro. Del resto credevo che fossero ormai proibite da qualche associazione umanitaria (a difesa degli spettatori, ma anche degli attori) scene del tipo “Lui si volta di scatto e dice: io sono perdutamente innamorato di te!”.
E allora? Il dilemma? Perché dovrei consigliare di andare a vedere questo film? Per un piccolo, piccolissimo motivo: si fa appello alla nostra coscienza. Per ogni biglietto venduto, infatti, un euro verrà utilizzato per sostenere il progetto dell’ONU “Latte per la vita” a favore dei bambini africani nei campi profughi. Un euro che verrà devoluto in beneficenza. Devo ammetterlo, non amo molto la parola beneficenza. Mi fa venire in mente un gruppo di persone ricche e annoiate che, per scaricarsi la coscienza, mandano soldi di qua e medicine di là. Senza guardare, senza sporcarsi le mani. Certo, nessuno di noi potrebbe realmente fare di più, non tutti possiamo trasformarci in missionari o medici senza frontiere. Ma non riesco a levarmi di testa quella brutta sensazione di ipocrisia che tutto questo mi suscita. Ipocrisia di cui è permeato questo film. Che sembra voler sensibilizzare e indignare, ma che è in realtà solo molto furbo e “calcolato”. Che parte “forte” e poi si impantana nelle pieghe di una storia d’amore che è tanto improbabile (e involontariamente comica) quanto hollywoodiana.
Allora non ci andate a vederlo questo film, non è così che si aiuta l’Africa. Come si fa davvero non lo so, ma non così. Se poi volete fare beneficenza…