Ho uno strano ricordo della scuola. Pur avendo passando la maggior parte della mia esistenza tra i polverosi banchi di scuola (elementare, media, liceo, università), pur avendo passato la maggior parte dei miei giorni in compagnia di qualche libro a studiare, non riesco a ricordare un solo insegnante con trasporto. Non uno la cui lezione mi abbia segnato in modo indelebile.
Sbaglio. Ripensandoci bene, numerosi sono stati gli insegnanti che mi hanno “colpito”. Peccato che nessuno in maniera positiva. C’è chi per un certo periodo è riuscito a farmi passare la voglia della matematica (assurdità clamorosa, visto che da piccolo mi dilettavo alla ricerca di teoremi nuovi e applicazioni teoriche), chi mi ha fatto provare il massimo disgusto per la storia della filosofia (altra impresa sovrumana, da applaudire: d’altronde da una ciellina ottusa non si può pretendere molto), e chi ha dato del suo meglio per impedirmi di imparare l’idioma inglese (cosa che, grazie agli dei, ho appreso per conto mio davvero bene), dato che era ben lungi dal poterne pronunciare alcunché privandosi di un insopportabile accento tutt’altro che oxfordiano.
Mi sembra di essere passato attraverso una serie di professori insegnanti maestri che compivano il loro dovere (INSEGNARE) come un qualsiasi altro mestiere. Senza il minimo entusiasmo. Senza, cioè, trasmettere il minimo interesse a quanti avevano avuto la sfortuna di essere stati loro affidati. E senza un po’ di entusiasmo, senza un minimo di sacro furore, è davvero difficile “toccare” al cuore uno studente.
Ci si preoccupa troppo di quello che dovrebbero imparare i ragazzi per stare al passo con i tempi (internetingleseimpresa, secondo la formula più imbecille che si potesse pensare, cosa assolutamente non sorprendente vista la fonte da cui proviene…) mentre ci si dovrebbe maggiormente preoccupare di quanti sono incaricati di trasmettere cotanto sapere. Sono davvero adatti al compito che debbono affrontare? Non sarebbero forse più adatti, in numerosissimi casi, a mestieri socialmente utili come la pulizia delle strade et similia?
È davvero interessante come nel cinema hollywoodiano e non, con una cadenza tanto regolare da sembrare tutt’altro che casuale, avvenga che un insegnante divenga protagonista di pellicola,una bella pellicola di quelle con la morale finale. Pensiamo a “Addio, Mr Chips!”, “Addio, Mr Harris!”, “L’attimo fuggente”, “Il seme della violenza”, “Ufficiale e gentiluomo” (in fondo non si tratta che di una storia di questo tipo!) e a un altro centinaio di film con, buon ultimo, “Il club degli Imperatori” di Michael Hoffmann, protagonista il sempre straordinario Kevin Kline.
Senza vedere alcuna di queste opere, si potrebbe facilmente prevederne la struttura: vecchio insegnante oramai in pensione ripercorre la sua carriera e, è inevitabile, ripensa a quella volta in cui ha dovuto domare il piccolo ribelle (che naturalmente aveva dietro di sé una storia terribilmente complicata, caratterizzata dalla mancanza d’affetto) o al suo unico insuccesso come insegnante. O di come questi riesca a conquistare il cuore di una classe assolutamente ostile. Variabile può essere il fatto che la storia ci venga raccontata al presente. O che si parli della vicenda privata dell’insegnate, costretto a rinunciare agli affetti, per l’eccesso di devozione alla Causa dell’insegnamento.
Debbo essere sincero, per l’esperienza vissuta, questo genere di film dà l’impressione di essere più prossimo alla fantascienza meno verosimile di tutte le opere di science fiction degli ultimi 35 anni, da “2001: Odissea nello spazio” in poi. Avrei pagato volentieri per poter godere di un insegnante che fosse anche solo lontanamente parente dei vari Robert Donat, Glenn Ford, Sidney Poitier, Robin Williams o Kevin Kline, protagonisti di codeste avventure sullo schermo.
La realtà è un’altra. La mediocrità imperante nel nostro paese si può facilmente arguire dalla mediocrità del nostro corpo insegnante. Con tutte le attenuanti del caso: le paghe basse, le difficoltà degli studenti, le difficoltà oggettive delle stesse scuole, le leggi imbecilli che rendono il lavoro sempre più impossibile con fondi sempre più miseri.
Per quanto riguarda “Il Club degli Imperatori”, favoletta con la morale finale: qualche volta, la mela marcia è davvero marcia e, per quanto ci si applichi, rimane tale, anche a distanza di anni. Da vedere distrattamente in televisione, dovesse capitare in una serata in cui non si ha voglia di uscire.